Tra Bologna e Piacenza non c’è forse mosaico di IV secolo d.C. più importante di quello scoperto nella cripta della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Reggio Emilia, un tappeto di pietra tra i più interessanti di tutta l’Italia settentrionale, per dimensione, raffinatezza e tecnica di realizzazione
Tesserae versicolores
Il mosaico policromo dalla Cattedrale di Reggio Emilia
Sarà esposto per la prima volta al pubblico nel Museo Diocesano di Reggio Emilia (Via Vittorio Veneto 6) a partire dal 21 marzo 2015 in occasione della XXIII edizione delle Giornate FAI di Primavera e del XXI Colloquio AISCOM
L’oro dei gioielli, lo smeraldo delle collane, il blu intenso delle iridi, il verde delle piante, e poi i rossi, gli arancione e le infinite sfumature di bianco, nero e grigio che enfatizzano i dettagli.
Il mosaico di età tardo romana (IV secolo d.C.) scoperto nel 2009 sotto la cripta della Cattedrale di Reggio Emilia è un’esplosione di forme, geometrie e colori. Di estremo pregio e raffinatezza, sarà esposto per la prima volta al pubblico a partire da sabato 21 marzo 2015 nel Museo Diocesano di Reggio Emilia (Via Vittorio Veneto 6) in occasione della XXIII edizione delle Giornate FAI di Primavera e presentato in anteprima ai convegnisti del XXI Colloquio AISCOM (Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico) che torna per l’occasione dopo vent’anni in Emilia-Romagna, proprio a Reggio Emilia, dal 18 al 21 marzo nelle tre sedi dell’Aula Magna dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dei Musei Civici e della Cattedrale.
Rinvenuto negli scavi archeologici condotti nella cripta dal 2007 al 2009 questo splendido manufatto, forse uno dei più belli dell’Italia settentrionale, suscita più domande che risposte. Cosa rappresentano le coppie nude e ingioiellate raffigurate nei riquadri principali del mosaico? E il ricco contorno di danzatori e danzatrici, sontuosi volatili, pernici, pavoni, colombe, e i tanti elementi vegetali? Qual era la destinazione dell’esteso palazzo che si affacciava sul foro principale della città e soprattutto chi era il proprietario di quell’edificio in cui ogni singolo dettaglio esprimeva ricchezza, potere e autorità?
http://www.archeobologna.beniculturali.it/aree_reggiano/mosaico_2015.htm
Museo Diocesano in Via Vittorio Veneto 6 a Reggio Emilia
INGRESSO GRATUITO
info 0522.1757930
Orari di apertura dal 20 marzo al 7 giugno e dal 5 settembre al 31 ottobre:
Martedì e Venerdì 9.30–12.30, Sabato e Domenica 9.30-12.30 e 15.30-18.30
Aperture straordinarie:
6 aprile, 1 maggio, 2 giugno 9.30-12.30 / 15.30-18.30
15-16-17maggio 9.30-12.30 / 15.30-18.30 / 21.00-22.30
Orari di apertura dal 10 giugno al 26 luglio
Mercoledì 21.00 – 22.30, Venerdì 9.30-12.30 e 21.00-22.30, Sabato e Domenica 9.30-12.30 e 16.00-19.00
Visite a richiesta: beniculturali@diocesi.re.it
Chiuso dal 27 luglio al 4 settembre
Il Museo Diocesano non è al momento in grado di fornire gli orari di apertura dopo il 31 ottobre
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Il mosaico policromo
L’ampio pavimento musivo di IV secolo d.C. scoperto nella Cappella dei Caduti a circa m. 2,5 di profondità ha una superficie di circa 25 metri quadrati. È un vero e proprio “tappeto di pietra”, probabilmente uno dei più belli del Nord Italia per il periodo tardo romano. Ha una decorazione policroma complessa e di notevole qualità, caratterizzata da un’alternarsi di elementi geometrici e figurati. Piccoli riquadri incorniciano pernici, colombe, pavoni e figure di danzatori e danzatrici mentre negli emblemi principali compaiono figure femminili e maschili nude ma riccamente ingioiellate.
Era il pavimento di una domus di notevole estensione che si affacciava sul foro di Regium Lepidi, un edificio di elevato pregio formale, certo di proprietà di un personaggio che poteva disporre di consistenti risorse e mezzi economici tali da consentirgli di partecipare alla vita politica cittadina o ricoprire importanti cariche pubbliche o civili.
Il mosaico policromo figurato era probabilmente il più prestigioso e rappresentativo dell’intera domus. Se il quadro d’insieme è spettacolare, è nei dettagli che questo manufatto rivela tutta la sua complessità: la struttura geometrica, i cerchi simmetrici interrotti da riquadri contenenti coppie di personaggi, contornati a loro volta da quadretti più piccoli contenenti danzatori con i cembali e danzatrici velate, le trecce policrome su fondo nero, e gli spazi tra i cerchi campiti con splendidi volatili ed elementi vegetali, nulla è lasciato al caso e tutto concorre a dichiarare il potere, la cultura e il gusto estetico del committente.
Lo svolgimento del disegno musivo consente di ipotizzare che il tappeto fosse costituito da una serie di riquadri (sicuramente quattro) disposti attorno a uno centrale, di dimensioni leggermente maggiori.
Il riquadro di sinistra contiene due personaggi, entrambi nudi ma con attributi che in qualche modo li caratterizzano. L’uomo con diadema, mantello e calzari chiodati, tiene nella mano sinistra un racemo (forse una palma) e con la destra offre alla dama due anatre vive. La donna con il capo velato da un manto che le ricade fino ai piedi, calza stivaletti rossi a punta ed è adornata da una collana a due fili, orecchini e armille alle braccia e ai polsi; si appoggia sinuosamente a un sostegno mentre scosta con leggerezza il velo dal capo e tiene con la mano destra per la lenza un pesce, probabilmente una carpa.
Anche il pannello di destra contiene una coppia nuda in assetto dinamico. La giovane donna danza reggendo un leggero panneggio appoggiato sui fianchi: è ingioiellata con collana, orecchini e armille, indossa calzature infradito e ha una corona di boccioli di rose poggiata sui capelli raccolti. L’uomo al suo fianco ha una corona di tralci d’edera e piccoli fiori rosa, e offre alla donna un fiore simile a quelli che le circondano il capo mentre regge nella mano destra un bastone ricurvo, un lituo o un pedum.
Del terzo pannello resta solo la porzione ridotta di una figura maschile reclinante sorretta da un personaggio di cui si intravedono soltanto le mani; la scena è racchiusa a sinistra da un tralcio vegetale con racemi curvilinei e foglie o frutti allungati e cruciformi.
I pannelli principali sono contornati da quadretti più piccoli, iscritti nei cerchi, con immagini di danzatori e danzatrici anch’essi nudi. I due danzatori suonano i cembali mentre la fascia legata alla vita si muove al ritmo del corpo; le capigliature sono rese a calotta e in una c’è un elemento simile a un diadema che raccoglie ancora di più i capelli. Anche le due danzatrici, forse menadi, sono raffigurate in nudità mentre si muovono sinuosamente al ritmo della musica tenendo in mano un velo.
La superficie lasciata libera dai cerchi e dai semicerchi è riempita da splendidi volatili (due pernici rosse, un pavone, un’allodola, due colombe sulla fontana, gazze sui rami) ed elementi vegetali.
Per eseguire il mosaico sono usate tessere di vario materiale e colore, per rendere vivace la resa complessiva del tappeto musivo e allo stesso tempo più sfumata la restituzione dell’incarnato delle figure e dei chiaroscuri.
L’uso di tessere in pasta vitrea di diverse tonalità, dal blu intenso al verde chiaro, e di lamina d’oro applicata su alcune tessere impreziosisce i particolari del disegno.
La capigliatura delle figure femminili è realizzata usando il doppio colore per rendere la piega dei capelli, una rappresentazione che si ritrova anche nei mosaici giustinianei di età più tarda e che ricorda le pettinature in vigore al tempo di Teodosio e di Galla Placidia. Allo stesso periodo rimanda anche il disegno della pupilla rivolta verso l’alto, tipica resa che si riscontra nella ritrattistica di IV secolo d.C., come pure la tipologia della fibula o la resa dei calzari, rappresentati nei mosaici della Villa del Casale a Piazza Armerina e in regione in quelli di Palazzo Gioia a Rimini e di Palazzo Pasolini a Faenza (datati al IV secolo d.C.).
L’insieme della composizione è di difficile lettura e la sua interpretazione è resa ancor più problematica non solo dalla mancanza del quarto pannello ma soprattutto di quello centrale che certamente conteneva la scena principale. I personaggi sono nudi o seminudi ma sempre con dettagli distintivi: la forma del diadema ricorda quelli degli imperatori rappresentati nell’iconografia ufficiale sulle monete e nella ritrattistica a partire dall’età costantiniana, gli oggetti o gli animali tenuti in mano dalle due coppie sembrano rimandare a un contenuto mitico-allegorico, forse gravitante nella sfera dionisiaca. Il giovane potrebbe raffigurare un Dioniso-Bacco con corona di edera e frutti, mentre la giovane donna potrebbe rappresentare Arianna o una ninfa. Anche i personaggi rappresentati nel pannello lacunoso possono rientrare in quest’ambito così come i danzatori che suonano i cembali e le menadi travolte dalla danza.
Più difficile individuare la simbologia sottesa nel riquadro di sinistra che, come il suo corrispondente, doveva collocarsi in posizione dominante rispetto a chi accedeva alla stanza. Anche se nel complesso sia questa che le altre coppie potrebbero ricondurre alla tipologia delle scene di corteggiamento, la resa delle figure, l’impiego di ornamenti preziosi, la presenza di animali come il pesce in mano alla donna, o le anatre e il racemo (forse una palma) in mano al personaggio maturo sembrano più riportare al tema dell’acqua e della terra, dello scorrere del tempo e delle stagioni. Rimandano all’ambito campestre anche i volatili distribuiti negli spazi tra i cerchi.
Dalla fase romana all’alto medioevo
Gli scavi condotti nella Cattedrale forniscono ulteriori informazioni sull’evoluzione urbana del municipio romano, evidenziando un’intensa attività edilizia e insediativa si protrae, senza soluzione di continuità, dalla tarda età imperiale all’età medievale.
La documentazione archeologica rivela come la città, ancora nella seconda metà del IV secolo d.C., non fosse in declino, ridimensionando il quadro di degrado della Regio VIII descritto nelle fonti quali la lettera di Ambrogio a Faustino.
La riorganizzazione dell’isolato, avvenuta dalla seconda metà del V secolo, è connotata da strutture che compongono un complesso unitario e articolato, probabilmente pertinenti alle prime fasi del complesso episcopale. La partecipazione del vescovo Favenzio al sinodo milanese del 451, fa supporre la presenza di una sede stabile all’interno della città e l’isolato assume quindi, da questo momento, una connotazione a carattere religioso.
Il primo complesso architettonico riconoscibile era costituito da più edifici, tra cui uno di culto, a tre navate con abside centrale, orientato liturgicamente. L’edificio religioso si sviluppava verso l’attuale Piazza Prampolini, mentre a est era collegato a un articolato corpo architettonico, forse pertinente al complesso episcopale, caratterizzato da poderose murature orientate est-ovest.
Nel tempo, sia la Chiesa che gli annessi al gruppo episcopale, furono interessati da importanti ristrutturazioni.
Queste attività documentano un uso prolungato dei vari corpi di fabbrica, dalla loro realizzazione tra la seconda metà del VI e gli inizi del VII secolo, fino all’VIII, quando un ulteriore intervento trasforma radicalmente l’isolato in seguito alla costruzione di un nuovo edificio di culto che va ad occupare l’attuale spazio della Cattedrale.
Sviluppatosi verso oriente, l’edificio risulta composto da un corpo semicircolare in facciata (che ingloba la precedente abside), da un’aula a tre navate, un transetto e un’abside centrale orientata.
La funzione della torre di facciata sembra duplice: in primo luogo di cappella funeraria, secondariamente di accesso alla chiesa superiore tramite scale elicoidali. Il complesso architettonico sembra essere stato costruito tra il IX e gli inizi del X secolo d.C., trovando confronti con architetture coeve del nord-Europa.
IL RESTAURO DELLA CATTEDRALE
Il complesso progetto di recupero avviato nel 2002 dal Comitato per il Restauro della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Reggio Emilia ha visto il coinvolgimento diretto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, attraverso l’intervento di tre diverse Soprintendenze di settore (Beni Archeologici, Beni Architettonici, Beni Artistici/Storici) che hanno operato in stretta collaborazione con la Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e l’Ufficio Diocesano Beni Culturali.
I lavori di recupero hanno indagato in modo approfondito una delle più antiche e importanti chiese della città, aprendo una finestra sulla storia di questo settore della città e fornendo nuovi importanti elementi sulle fasi più antiche di Reggio Emilia in epoca romana, fino al IX-X secolo quando sarà costruita l’attuale cattedrale.
Le indagini archeologiche finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla Fondazione Manodori si sono svolte sotto la Direzione Scientifica di Renata Curina, archeologa della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, e sono state eseguite dalla Società Cooperativa ARS/Archeosistemi di Reggio Emilia e dalla Società ARAN Progetti di Genova.
In un primo tempo gli scavi si sono svolti all’interno della cattedrale e, in particolare, nella navata centrale e nelle due laterali; dal 2007 le indagini hanno riguardato anche il sagrato e la cripta. Nelle tre navate e sul sagrato le indagini hanno riportato in luce strutture, pavimentazioni e sepolture riferibili alle fasi di età altomedievale, medievale e rinascimentale della cattedrale, mettendo in risalto la particolare complessità costruttiva dell’edificio. In alcuni punti, le indagini si sono spinte fino ad una profondità di 4 metri circa, consentendo di riconoscere gli strati di crescita della città dall’età romana all’alto medioevo.
L’esposizione del mosaico è promossa da Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, dall’ufficio beni culturali e dal Museo della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, dal Comitato per il restauro della cattedrale di Reggio Emilia.
Il restauro del mosaico è stato finanziato da Unindustria di Reggio Emilia.
Il distacco e i lavori di restauro sono stati eseguiti da Opus Restauri di Parma
Il XXI Colloquio Aiscom (Reggio Emilia, 18-21 marzo 2015) è sostenuto dalla Fondazione Pietro Manodori, che contribuirà anche alla stampa degli atti del convegno, e dal Comune di Reggio Emilia.
Informazioni scientifiche di Renata Curina, archeologa della Soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna, tel 051.223773 renata.curina@beniculturali.it